Dubino, successo per il raduno degli Alpini
DUBINO. Si è svolto domenica scorsa l'annuale raduno degli Alpini di Dubino, come sempre, grazie ai cittadini accorsi, molto partecipato.
La giornata è partita alle 10.30 con il ritrovo presso il piazzale della Chiesa, seguito dalla Santa Messa delle 11 con il parroco don Stefano Zampieri. Alle 11.45 il tradizionale alzabandiera al monumento, con deposizione della corona; il tutto in compagnia del Corpo Musicale di Dubino. Infine, a partire dalle 12.30, il pranzo sociale presso il ristorante-pizzeria "Karma" in via Valeriana a Dubino. Presenti il primo cittadino, il neo-capogruppo Danilo Conforti, il capogruppo "uscente" Ruggero Crosio e il Vice presidente della zona della Valchiavenna, Adriano Martinucci. Quest'ultimo ha sottolineato l'importanza della sezione locale degli Alpini, da sempre in stretti rapporti con quella valchiavennasca. Di seguito le parole del sindaco di Dubino, Emanuele Nonini: "Sono grato agli Alpini, per la disponibilità dimostrata in questi anni da sindaco, ho avuto occasione di conoscerli da vicino e posso dire che non sono solo un gruppo di amici che si trova per fare festa. I loro principi si esprimono in tanti gesti, azioni concrete e progetti realizzati. Questa è l'ultima uscita pubblica in veste di sindaco: desidero ringraziare, a nome di tutta la popolazione, il gruppo, che è sempre stato presente e collaborante in numerose iniziative di vita sociale del nostro Comune". Gli Alpini di Dubino sono un gruppo piuttosto numeroso, con 60 membri e 11 aggregati; di questi 7 sono consiglieri della sezione (il tesoriere Orlando Scinetti, il segretario Denis Pellegatta, Davide Fascendini, Roberto Fascendini, Claudio Faggi, Floriano Stefanetti e Gabriele Sangiorgio). Gli Alpini, da Wikipedia Gli Alpini sono le truppe da montagna dell'Esercito Italiano, come lo erano per il Regio Esercito. Il termine nella sua duplice accezione indica in senso stretto una specialità dell'arma di fanteria (in particolare fucilieri e mortaisti), e in senso lato l'intero Corpo degli Alpini, che nel corso degli anni ha gradualmente incluso tutte le analoghe specialità delle Armi di artiglieria, Genio e Trasmissioni, Corpo automobilistico, Sanità ecc., parimenti destinate a operare sui terreni montani. Queste truppe oggi sono organizzate sostanzialmente su due brigate operative, inquadrate nel Comando Truppe Alpine. Costituiti il 15 ottobre 1872, gli Alpini propriamente detti sono il più antico Corpo di Fanteria da montagna attivo nel mondo, originariamente creato per proteggere i confini montani settentrionali dell'Italia con Francia, Impero austro-ungarico e Svizzera. Nel 1888 gli Alpini furono inviati alla loro prima missione all'estero, in Africa, continente nel quale sono tornati più volte nella loro storia, per combattere le guerre coloniali del Regno d'Italia. Si sono distinti durante la prima guerra mondiale, quando furono impiegati nei combattimenti al confine nord-est con l'Austria-Ungheria, dove per tre anni dovettero confrontarsi con le truppe regolari e da montagna austriache e tedesche, rispettivamente Kaiserschützen e Alpenkorps, lungo tutto il fronte italiano. Durante la seconda guerra mondiale, gli alpini combatterono a fianco delle forze dell'Asse principalmente nei Balcani (nel difficile teatro greco-albanese) e sul fronte orientale, dove, impegnate sulla linea del Don invece che nel Caucaso come inizialmente previsto, subirono perdite gravissime durante la battaglia difensiva e la conseguente tragica ritirata dell'inverno 1942-1943. A causa della riorganizzazione dell'Esercito Italiano dopo la fine della guerra fredda, nel 1990 tre delle cinque brigate alpine e molte unità di supporto furono sciolte. Dal 2003 gli Alpini sono impegnati in Afghanistan. Il cappello Il cappello, detto «bantam», è l'elemento più noto e rappresentativo dell'uniforme degli alpini. È composto da molti elementi atti a rappresentare il grado, il reggimento e la specialità di appartenenza. Il cappello ultima versione fu introdotto nel 1910. Il 25 marzo 1873 venne adottato invece del chepì di fanteria un cappello proprio di feltro nero di forma tronco conica (alla "calabrese") a falda larga; frontalmente aveva come fregio una stella a cinque punte, di metallo bianco, con il numero della compagnia. Sul lato sinistro, semicoperta dalla fascia di cuoio, vi era una coccarda tricolore nel cui centro era posto un bottoncino bianco con croce scanalata. Un gallone rosso a V rovesciata guarniva il cappello dallo stesso lato della coccarda e sotto questa era infilata una penna nera di corvo. Per gli ufficiali il cappello era lo stesso, però la penna era d'aquila. Il 1º gennaio 1875, i comandanti di reparto assunsero la denominazione di Comandanti di battaglione e non portarono più il cappello alla calabrese che distingueva gli appartenenti alle compagnie alpine, ma indossarono il copricapo del distretto nel quale s'insediavano non avendo un ufficio proprio. Nel 1880 invece della stella a cinque punte fu adottato un nuovo fregio ugualmente di metallo bianco: un'aquila "al volo abbassato" sormontante una cornetta contenente il numero di reggimento. La cornetta era posta sopra un trofeo di fucili incrociati con baionetta innestata, una scure e una piccozza. Il tutto circondato da una corona di foglie di alloro e quercia. Nei primi mesi della prima guerra mondiale l'esercito italiano adottò l'elmetto "Adrian" ma gli alpini e i bersaglieri lo snobbarono perché non riuscivano a collocarci sopra il distintivo, penna i primi e piumetto i secondi, Vi sono tuttavia documentazioni fotografiche che ne attestano l'uso alpino quantomeno a tutto Luglio 1916, ad esempio da parte di Battisti e Filzi al momento della cattura su Monte Corno. In seguito furono in particolare gli Alpini operanti ad alte quote ad accantonarlo definitivamente a favore di passamontagna e cappello di feltro, per motivi più pratici del simbolismo, legati ai problemi nell'uso col gelo, col vento, e con la minaccia incombente dei fulmini. Problemi condivisi anche dagli austro-tedeschi che in montagna spesso ricorsero anch'essi ai passamontagna, oltre che al classico feldmutze tutt'oggi simbolo dei reparti da montagna dei due paesi. La nascita Durante la riorganizzazione dell'esercito italiano iniziata a seguito del successo prussiano nella guerra contro la Francia, venne varata la "riforma Ricotti" voluta dal generale e ministro della Guerra Cesare Francesco Ricotti-Magnani, che prevedeva una ristrutturazione delle forze armate condotta sul modello prussiano[2], basata sull'obbligo generale ad un servizio militare di breve durata, in modo tale da sottoporre all'addestramento militare tutti gli iscritti alle liste di leva fisicamente idonei, abolire la surrogazione e trasformare l'esercito italiano in un esercito-numerico, espressione delle potenzialità umane della nazione[2]. «Applichiamo quindi il sistema prussiano poiché questo comandano le necessità dei tempi [...] il nostro paese ha bisogno di militarizzarsi e disciplinarsi come il nostro esercito di coltivarsi, e il servizio militare obbligatorio [...] recherà bene all'uno e all'altro» Nel fervore innovativo in seno alla gestione Ricotti venne affrontato anche il problema della difesa dei valichi alpini. Fino ad allora si era ritenuto che una reale difesa dei valichi fosse impossibile e che un eventuale invasore dovesse essere ostacolato dagli sbarramenti fortificati delle vallate, ma definitivamente fermato solo nella pianura Padana. Questa tattica avrebbe lasciato completamente sguarniti tutti i passi alpini dal Sempione allo Stelvio e tutto il Friuli, cioè la più diretta e potente linea d'invasione disponibile all'Impero austro-ungarico. Nell'autunno 1871 il capitano di stato maggiore, ex insegnante di geografia, Giuseppe Perrucchetti, preparò uno studio dal titolo Considerazioni su la difesa di alcuni valichi alpini e proposta di un ordinamento militare territoriale nella zona alpina nel quale sosteneva il principio che la difesa delle Alpi dovesse essere affidata alla gente di montagna. Nato nel 1839 a Cassano d'Adda, dunque non in montagna, Perrucchetti che non era un alpino e non lo diventò mai, fu un appassionato studioso attento alle operazioni militari condotte nei secoli precedenti nei territori alpini, e fin dall'inizio colse le contraddizioni che il sistema di reclutamento italiano comportava. A causa del complesso sistema di reclutamento concentrato nella pianura, all'atto della mobilitazione gli uomini avrebbero dovuto affluire dalle vallate alpine ai centri abitati per essere equipaggiati e inquadrati, quindi ritornare nelle vallate per sostenere l'urto di un nemico che nel frattempo avrebbe potuto organizzare e disporre al meglio le proprie forze. In questo modo si sarebbe venuta a creare una concentrazione caotica di uomini presso i distretti militari atti a rifornire il personale sceso a valle insieme a quello di stanza in pianura, con conseguenti e inevitabili ritardi. A ciò si sarebbe aggiunto - sempre secondo Perrucchetti - un altro grave limite: le esigenze di mobilitazione avrebbero portato alla creazione di battaglioni eterogenei composti da provinciali della pianura poco atti alla guerra di montagna e non pratici dei luoghi. Nel 1872 Perrucchetti firmò un articolo per Rivista militare, nel quale trattava il problema della difesa dei valichi alpini e suggeriva alcune innovazioni per l'ordinamento militare nelle zone di frontiera. Nelle aree di confine sarebbero stati arruolati i montanari locali, similmente all'ordinamento territoriale alla prussiana, per il quale la zona alpina sarebbe stata divisa per vallate in tante unità difensive, costituenti ciascuna un piccolo distretto militare. In ciascuna unità difensiva le forze reclutate sarebbero state formate su un determinato numero di compagnie raggruppate attorno a un centro di amministrazione e di comando, in modo tale da avere tante unità difensive quanti erano i valichi alpini da proteggere. Secondo Perrucchetti i soldati destinati a queste unità dovevano essere abituati al clima rigido, alla fatica dello spostamento in montagna, alle insidie di un terreno accidentato e pericoloso e ai disagi delle intemperie; dal canto loro gli ufficiali dovevano essere conoscitori diretti e profondi del territorio, alpinisti ancor prima che militari. Infine, i rapporti con la popolazione civile dovevano essere stretti e spontanei, in modo tale da giovarsi della funzione di informatori e di guide che i montanari potevano svolgere a beneficio delle truppe. Il reclutamento locale, oltre a fornire uomini già abituati alla dura vita in montagna, era un forte elemento di coesione tra le truppe: riunendo nelle compagnie i giovani provenienti dalla stessa vallata, e stanziandoli nella loro terra d'origine si ottenevano sensibili vantaggi senza esporsi a rischi. Per i problemi di bilancio che affliggevano il Ministero della Guerra, e quindi temendo un voto sfavorevole del Parlamento, Ricotti non presentò un progetto organico per la creazione di un nuovo Corpo, ma lo inserì in una generale ristrutturazione dei distretti militari che da cinquantaquattro dovevano diventare sessantadue, unitamente alla creazione di un certo numero di compagnie alpine limitato a quindici. Il progetto fu appoggiato dal ministro della Guerra del governo di Quintino Sella, Ricotti-Magnani, che condivideva le necessità della difesa dei valichi alpini e preparò il decreto nel quale si istituiva, praticamente di nascosto, il nuovo Corpo, mascherato con compiti di fureria. Il decreto venne quindi firmato dal re Vittorio Emanuele II il 15 ottobre 1872 a Napoli. Nella relazione ministeriale che accompagnava il Regio Decreto n. 1056, si parlava dell'istituzione delle prime compagnie alpine. Subito dopo, in occasione della chiamata alle armi della classe 1852, iniziò la formazione delle prime quindici compagnie alpine, che si sarebbero costituite nel giro di un anno. articolo del 31.03.2019, ore 13:50 |