Olivicoltura in Valtellina: un'attività presente già nel Medioevo
Contrariamente a quanto si può pensare, l’ulivo è stato coltivato per anni in Valtellina. Dal tredicesimo secolo e fino all’Ottocento, la pianta dell’oro verde si presentava in modo tutt’altro che sporadico nella Valle.
La storia è stata ripercorsa dalla studiosa Giancarla Maestroni, che si è impegnata in un’attenta indagine riguardo alla presenza degli ulivi nel passato (fortunatamente in corso di “recupero” negli ultimi anni).
Ad aprire la presentazione, il direttore Graziano Murada: “Sempre disponibile, a titolo gratuito, quando la Fondazione Fojanini ha bisogno di notizie storiche. Nel 1998, contro tutto e tutti, abbiamo introdotto il primo impianto alla Sassella. Era sperimentale: serviva a colmare il vuoto lasciato dalla vite e impedito l'assalto ai terrazzamenti da parte del bosco. Col tempo un rimedio estetico “tampone” è diventato coltura dalle grandi soddisfazioni […]Abbiamo chiesto aiuto a Maestroni per ricostruire la storia dell’ulivo in Valtellina, perché avevamo il sentore che in passato esistesse questa presenza. La sua ricerca ce l’ha confermato e siamo felici di aver identificato questo legame con il passato, per una realtà che in Valle si proietta verso il futuro. Il primo impianto sperimentale di ulivi è stato realizzato dalla Fondazione nella zona della Sassella nel 1998, perché si attraversava un periodo di abbandono dei vigneti e volevamo testare una coltura che potesse tener vivi i terrazzamenti, evitando che venissero fagocitati dal bosco. Doveva avere una valenza soprattutto ambientale e paesaggistica, oggi inizia a dare anche soddisfazioni sul fronte della produzione, con piccole quantità ma un prodotto di qualità”.
I documenti rispolverati nella ricerca hanno segnalato che nelle immediate vicinanze, a Dubino e Delebio, nel 1256, l’olivicoltura era un’attività molto importante. A segnalarlo, il “nostrano” Martino Fattarelli. «Dal XIII secolo la presenza dell’olivicoltura si è protratta per molti secoli, tanto che nell’estimo austriaco del 1835 sono censiti una cinquantina di “ulivi sparsi” alla Sassella. Varie testimonianze riguardano la zona della Bassa Valle, ma molto raccontano anche i toponimi legati all’oliva e all’ulivo diffusi sulla costiera retica, da Bianzone a Montagna».
L’olio non era particolarmente impiegato in cucina, ma piuttosto “per usi legati all’ambito religioso, ad esempio per l’illuminazione delle chiese e per le cerimonie liturgiche”.
“L’inattesa perdurante diffusione di questa pratica in Valtellina – prosegue il direttore – è altresì attestata da una pergamena del 1495, in cui un comprensorio di Castione è denominato “ad oliva”, ossia destinato alla produzione di olive. Si narra inoltre che ai primi del Novecento nella contrada San Rocco del medesimo Comune, in un luogo ben riparato dai venti e con un clima particolarmente dolce, vi allignassero l’agave e un olivo della varietà Moraiolo”.
Si aggiunge anche un manoscritto del 1835, che “contiene la registrazione in Comune della Sassella di ben 54 ulivi sparsi. Nei poderi di questa località accanto alle uve del celebrato vino, attecchirono tra Settecento e Ottocento anche gli ulivi, favoriti dal microclima, eccezionale che queste dorsali offrono tuttora”.
Nel 1998, ricorda ancora Murada, “la Fondazione Fojanini creò il primo impianto sperimentale alla Sassella. Fu un esperimento per testare se questa coltura potesse rivelarsi efficace contro l’incuria dei terrazzamenti in un periodo in cui l’abbandono del vigneto regnava sovrano a vantaggio dell’avanzamento del bosco. Questa pianta, che all’inizio nelle nostre intenzioni doveva fungere da ornamento, si è rivelata invece una coltura produttiva, che dà le sue soddisfazioni, che richiede molta meno manodopera rispetto alla vite e che proprio per questo sta diventando sempre più attrattiva anche per le nuove generazioni di agricoltori”.
Ivano Foianini, tecnico della Fondazione, ha poi sottolineato: “Oggi in Valtellina si contano oltre 15mila piante e la produzione di olio è in costante aumento. Da 15 anni a questa parte rileviamo risultati interessanti. Il numero delle piante aumenta esponenzialmente grazie anche alla presenza di inverni più miti. Un incoraggiamento all’olivicoltura è stato sicuramente dato anche dalla Comunità Montana di Morbegno attraverso un bando per i finanziamenti ad hoc. Il fatto che la produzione aumenti ci fa ben sperare per il futuro. Si sa che l’ulivo è particolarmente sensibile al freddo e quindi il suo futuro in Valle è legato principalmente alle condizioni climatiche che si avranno negli anni a venire”.
Infine, un’idea ambiziosa: “Attualmente si registrano coltivazioni di ulivi dalla zona del lago fino all’altezza di Grosio, sulla fascia retica e il numero di piante messe a dimora aumenta esponenzialmente ogni anno, anche con iniziative come il bando della Comunità montana di Morbegno per il recupero degli incolti. E visto che gli ulivi entrano in piena produzione intorno al decimo anno, nei prossimi anni possiamo aspettarci una crescita notevole della produzione, tanto che servirà un frantoio sul territorio”.
Andrea Repossini, direttore dell’asociazione di categoria, ha aggiunto: «È bello scoprire queste circostante storiche, in Valle ormai si produce un olio di qualità e per settembre-ottobre potranno arrivare novità sul progetto del frantoio».
La fondazione
L'origine della Fondazione Fojanini è legata all'iniziativa dell'eminente chirurgo Prof. Giuseppe Fojanini che, in memoria del proprio genitore, donò l'azienda agricola paterna all'Università Cattolica con lo scopo di costituire in Provincia di Sondrio un centro didattico sperimentale di valenza universitaria a supporto delle coltivazioni locali e più in genere dell'agricoltura alpina.
Parteciparono a questo progetto le Istituzioni provinciali che riconobbero la necessità di garantire agli operatori un riferimento scientifico costantemente aggiornato all'evolversi del settore.
Dal concorso pubblico-privato prende avvio nel 1971 la Fondazione Dott. Piero Fojanini di Studi Superiori iniziando a produrre servizi nel settore della viticoltura e frutticoltura.
Nel 1983 il ridimensionamento dell'impegno dell'Università Cattolica determina una prima riorganizzazione della Fondazione con una partecipazione e un sostegno più incisivi degli Enti finanziatori e al tempo stesso una maggiore libertà di movimento nei rapporti con i centri di ricerca nazionali.
Da allora la Fondazione amplia il campo d'interventi e assume un'identità più marcata così da inserirsi a pieno titolo tra le stazioni sperimentali agricole dell'Arco alpino tese a proporre nei rispettivi ambienti territoriali una progressiva e continua evoluzione dell'economia agricola.
articolo del 3.08.2019, ore 15:00
La storia è stata ripercorsa dalla studiosa Giancarla Maestroni, che si è impegnata in un’attenta indagine riguardo alla presenza degli ulivi nel passato (fortunatamente in corso di “recupero” negli ultimi anni).
Ad aprire la presentazione, il direttore Graziano Murada: “Sempre disponibile, a titolo gratuito, quando la Fondazione Fojanini ha bisogno di notizie storiche. Nel 1998, contro tutto e tutti, abbiamo introdotto il primo impianto alla Sassella. Era sperimentale: serviva a colmare il vuoto lasciato dalla vite e impedito l'assalto ai terrazzamenti da parte del bosco. Col tempo un rimedio estetico “tampone” è diventato coltura dalle grandi soddisfazioni […]Abbiamo chiesto aiuto a Maestroni per ricostruire la storia dell’ulivo in Valtellina, perché avevamo il sentore che in passato esistesse questa presenza. La sua ricerca ce l’ha confermato e siamo felici di aver identificato questo legame con il passato, per una realtà che in Valle si proietta verso il futuro. Il primo impianto sperimentale di ulivi è stato realizzato dalla Fondazione nella zona della Sassella nel 1998, perché si attraversava un periodo di abbandono dei vigneti e volevamo testare una coltura che potesse tener vivi i terrazzamenti, evitando che venissero fagocitati dal bosco. Doveva avere una valenza soprattutto ambientale e paesaggistica, oggi inizia a dare anche soddisfazioni sul fronte della produzione, con piccole quantità ma un prodotto di qualità”.
I documenti rispolverati nella ricerca hanno segnalato che nelle immediate vicinanze, a Dubino e Delebio, nel 1256, l’olivicoltura era un’attività molto importante. A segnalarlo, il “nostrano” Martino Fattarelli. «Dal XIII secolo la presenza dell’olivicoltura si è protratta per molti secoli, tanto che nell’estimo austriaco del 1835 sono censiti una cinquantina di “ulivi sparsi” alla Sassella. Varie testimonianze riguardano la zona della Bassa Valle, ma molto raccontano anche i toponimi legati all’oliva e all’ulivo diffusi sulla costiera retica, da Bianzone a Montagna».
L’olio non era particolarmente impiegato in cucina, ma piuttosto “per usi legati all’ambito religioso, ad esempio per l’illuminazione delle chiese e per le cerimonie liturgiche”.
“L’inattesa perdurante diffusione di questa pratica in Valtellina – prosegue il direttore – è altresì attestata da una pergamena del 1495, in cui un comprensorio di Castione è denominato “ad oliva”, ossia destinato alla produzione di olive. Si narra inoltre che ai primi del Novecento nella contrada San Rocco del medesimo Comune, in un luogo ben riparato dai venti e con un clima particolarmente dolce, vi allignassero l’agave e un olivo della varietà Moraiolo”.
Si aggiunge anche un manoscritto del 1835, che “contiene la registrazione in Comune della Sassella di ben 54 ulivi sparsi. Nei poderi di questa località accanto alle uve del celebrato vino, attecchirono tra Settecento e Ottocento anche gli ulivi, favoriti dal microclima, eccezionale che queste dorsali offrono tuttora”.
Nel 1998, ricorda ancora Murada, “la Fondazione Fojanini creò il primo impianto sperimentale alla Sassella. Fu un esperimento per testare se questa coltura potesse rivelarsi efficace contro l’incuria dei terrazzamenti in un periodo in cui l’abbandono del vigneto regnava sovrano a vantaggio dell’avanzamento del bosco. Questa pianta, che all’inizio nelle nostre intenzioni doveva fungere da ornamento, si è rivelata invece una coltura produttiva, che dà le sue soddisfazioni, che richiede molta meno manodopera rispetto alla vite e che proprio per questo sta diventando sempre più attrattiva anche per le nuove generazioni di agricoltori”.
Ivano Foianini, tecnico della Fondazione, ha poi sottolineato: “Oggi in Valtellina si contano oltre 15mila piante e la produzione di olio è in costante aumento. Da 15 anni a questa parte rileviamo risultati interessanti. Il numero delle piante aumenta esponenzialmente grazie anche alla presenza di inverni più miti. Un incoraggiamento all’olivicoltura è stato sicuramente dato anche dalla Comunità Montana di Morbegno attraverso un bando per i finanziamenti ad hoc. Il fatto che la produzione aumenti ci fa ben sperare per il futuro. Si sa che l’ulivo è particolarmente sensibile al freddo e quindi il suo futuro in Valle è legato principalmente alle condizioni climatiche che si avranno negli anni a venire”.
Infine, un’idea ambiziosa: “Attualmente si registrano coltivazioni di ulivi dalla zona del lago fino all’altezza di Grosio, sulla fascia retica e il numero di piante messe a dimora aumenta esponenzialmente ogni anno, anche con iniziative come il bando della Comunità montana di Morbegno per il recupero degli incolti. E visto che gli ulivi entrano in piena produzione intorno al decimo anno, nei prossimi anni possiamo aspettarci una crescita notevole della produzione, tanto che servirà un frantoio sul territorio”.
Andrea Repossini, direttore dell’asociazione di categoria, ha aggiunto: «È bello scoprire queste circostante storiche, in Valle ormai si produce un olio di qualità e per settembre-ottobre potranno arrivare novità sul progetto del frantoio».
La fondazione
L'origine della Fondazione Fojanini è legata all'iniziativa dell'eminente chirurgo Prof. Giuseppe Fojanini che, in memoria del proprio genitore, donò l'azienda agricola paterna all'Università Cattolica con lo scopo di costituire in Provincia di Sondrio un centro didattico sperimentale di valenza universitaria a supporto delle coltivazioni locali e più in genere dell'agricoltura alpina.
Parteciparono a questo progetto le Istituzioni provinciali che riconobbero la necessità di garantire agli operatori un riferimento scientifico costantemente aggiornato all'evolversi del settore.
Dal concorso pubblico-privato prende avvio nel 1971 la Fondazione Dott. Piero Fojanini di Studi Superiori iniziando a produrre servizi nel settore della viticoltura e frutticoltura.
Nel 1983 il ridimensionamento dell'impegno dell'Università Cattolica determina una prima riorganizzazione della Fondazione con una partecipazione e un sostegno più incisivi degli Enti finanziatori e al tempo stesso una maggiore libertà di movimento nei rapporti con i centri di ricerca nazionali.
Da allora la Fondazione amplia il campo d'interventi e assume un'identità più marcata così da inserirsi a pieno titolo tra le stazioni sperimentali agricole dell'Arco alpino tese a proporre nei rispettivi ambienti territoriali una progressiva e continua evoluzione dell'economia agricola.
articolo del 3.08.2019, ore 15:00