Notizie dalla Cisl
CANDY, RINNOVATA LA CASSA
È stata rinnovata la cassa integrazione straordinaria per i 415 lavoratori e lavoratrici del sito produttivo di Brugherio della Candy. L’intesa è stata sottoscritta questa mattina, 8 novembre, al ministero del Lavoro. L’ammortizzatore sociale coprirà il periodo fino al 30 settembre 2020.
«È un importante accordo perché si scongiurano 135 licenziamenti – affermano Pietro Occhiuto e Eliana Dell’acqua, rispettivamente della Fiom Cgil e della Fim Cisl della Brianza – non è stato un facile accordo e non era per nulla scontato vista la carenza dei fondi. La pressione del sindacato e la caparbietà dei lavoratori ha spinto il Governo a finanziare il fondo per gli amministratori sociali».
Un grosso contributo in tal senso è stato dato dallo sciopero nazionale proclamato la scorsa settimana dalla Fim, Fiom e Uilm e che anche in Candy ha avuto un’ottima adesione dei lavoratori. Con la sottoscrizione dell’intesa si archivia definitivamente l’eventualità di una riduzione dell’orario di lavoro che avrebbe comportato pesanti ripercussioni sul salario dei lavoratori.
«Oltre a evitare i licenziamenti – dicono i delegati sindacali della Rsu – con la sottoscrizione dell’accordo di cassa si sono tutelate le retribuzioni. Adesso ci aspettiamo un concreto piano di rilancio della nostra fabbrica. Abbiamo inoltre apprezzato la presenza del sindaco di Brugherio che è sempre stato accanto ai lavoratori sostenendone le rivendicazioni».
CARCANO, SCIOPERO
«Vogliamo essere ascoltati e chiediamo che l’azienda ci dia risposte chiare». È quanto chiedono i lavoratori della Carcano che, per sostenere le loro posizioni, oggi, 8 novembre, hanno scioperato mezz’ora in ogni turno nella sede di Mandello. È la seconda iniziativa dopo un primo sciopero avvenuto la scorsa settimana.
Una mobilitazione che, spiegano i rappresentanti sindacali, vuole essere un segnale lanciato alla direzione dell’azienda e a tutto il consiglio di amministrazione: «Non parliamo di una realtà produttiva problematica – chiariscono Maurizio Oreggia della Fiom Cgil e Emilio Castelli della Fim Cisl – È un’azienda che fino al 2018 ha registrato performance molto positive, è il primo anno che la Carcano vive un rallentamento dovuto però a situazioni di mercato, in particolare all’effetto dei dazi degli Stati Uniti nei confronti della Cina che hanno riversato l’alluminio prodotto dai cinesi sul mercato europeo e sul nostro territorio».
L’azienda sta facendo ricorso alla cassa integrazione per il sito produttivo di Delebio per 13 settimane di ammortizzatore fino a fine anno anche se si stimerebbe l’utilizzo di sole tre settimane effettive.
«La nostra preoccupazione – spiegano i sindacalisti – riguarda Mandello (200 dipendenti circa) in quanto da sempre nel gruppo Carcano è stato il sito più debole rispetto a quelli di Andalo e Delebio. E’ stato avviato un tavolo di confronto con l’azienda. Ci aspettiamo risposte riguardo alle strategie, gli investimenti con il coinvolgimento dell’intera rappresentanza sindacale e continuità riguardo alla contrattazione di secondo livello. L’azienda ha ancora investimenti da realizzare, vogliamo avere garanzie che ci sia la volontà di tenere alto lo sviluppo del sito di Mandello».
ILVA
«La crisi a seguito del ritiro di Arcelor Mittal dal perfezionamento dell’acquisto dell’Ilva rischia di travolgere l’industria metalmeccanica lombarda, già affaticata dal calo del mercato dell’auto e alla frenata della Germania. Colpire l’industria siderurgica ex Ilva equivale a danneggiare a cascata tutta la filiera, perché renderà complicato l’approvvigionamento di acciaio e costringerà le nostre imprese a rifornirsi dall’estero, con gravi contraccolpi in termini di posti di lavoro anche nel settore metalmeccanico lombardo. La vertenza è una battaglia anche dei metalmeccanici di questa Regione». Così Andrea Donegà, segretario generale Fim Cisl Lombardia.
«Siamo molto preoccupati – aggiunge -. Innanzitutto per le possibile ricadute sui lavoratori delle sedi Arcelor di Milano e hinterland, sui dipendenti della controllata Innse Cilindri di Brescia, ma non solo. Pensiamo per esempio ai vari distretti industriali: la meccanica strumentale di Bergamo e Brescia e la metalmeccanica di Lecco, con il rischio di spostare all’estero la catena dei fornitori, con ripercussioni sulla competitività e conseguente perdita di valore e posti di lavoro, impoverendo tutto il tessuto produttivo».
Le ricadute sul territorio preoccupano anche la Fim Cisl Mbl. «Siamo preoccupati per le possibili conseguenze che la situazione dell’Ilva può avere nel Lecchese – osserva Enrico Vacca, segretario generale Fim Cisl Mbl -. Da parte nostra monitoreremo la situazione per evitare ogni contraccolpo che possa incidere sul tessuto industriale locale e sull’occupazione».
Il dramma legato all’ex Ilva si potrebbe tradurre in un miliardo di Pil bruciato nel Nord del Paese, ovvero a tantissimi posti di lavoro che andrebbero in fumo. «Non possiamo mettere a rischio la nostra indipendenza industriale che aprirebbe le porte a una nuova crisi in una regione dove l’industria metalmeccanica mostra segnali preoccupanti – conclude Donegà -. Terremo monitorata la situazione e, se necessario, attiveremo forme di mobilitazione per contrastare chi ha in mente un paese che non prevede un ruolo centrale per il lavoro».
EDILI IN PIAZZA IL 15 NOVEMBRE
I lavoratori edili tornano in piazza per chiedere interventi urgenti per rilanciare il settore. Venerdì 15 novembre manifesteranno in 100 città. In Lombardia l’appuntamento è ad Annone Brianza, in provincia di Lecco. «Il nostro comparto – spiega Roberto Scotti, segretario generale Filca Cisl Monza Brianza Lecco – ha subito un durissimo colpo dalla crisi del 2008. Non si aprono cantieri e l’occupazione continua a calare».
Prima del 2008, contribuiva per l’11.5% alla creazione del prodotto interno lordo e oggi solo per l’8%. Gli occupati a livello nazionale sono circa 500mila. Prima del 2008 erano 600mila in più, mentre 120mila imprese hanno cessato l’attività.
La ricca Lombardia non si è salvata da questa moria di posti e aziende. Nel biennio 2007-2008 gli iscritti alla Cassa edile di Milano, Monza e Lodi erano oltre 70mila. Ora siamo a quota 43mila. Gli occupati brianzoli, nello stesso periodo, sono passati da 8.400 a 5mila. In provincia di Lecco da 6.300 a 3.200.
«Lo sciopero del 15 marzo – continua Scotti – aveva messo in evidenza la crisi del comparto. Le organizzazioni sindacali avevano cercato un sostegno del Governo. Con la crisi politica di questa estate, però, tutto si è fermato. Con Paola De Micheli, nuovo ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, abbiamo riavviato un dibattito. Siamo convinti che questa nuova astensione possa sostenere meglio le nostre rivendicazioni».
Ma che cosa chiede il sindacato? «Anzitutto più investimenti in opere pubbliche – osserva Scotti -. Le grandi opere possono infatti rappresentare un volano per tutto il comparto. Attualmente, secondo uno studio dell’Ance (associazione dei costruttori), sono 700 i cantieri fermi in Italia. Nella nostra zona rimangono incompiuti la Pedemontana, la Lecco-Bergamo e il prolungamento della Metropolitana a Monza. E poi aspettiamo che parta a pieno regime la Città della Salute a Sesto San Giovanni».
Anche la manutenzione delle opere esistenti può diventare un incentivo. «Le opere di controllo e manutenzione – spiega Scotti – non hanno solo una valenza economica, ma sono diventate essenziali per la sicurezza di tutti, come ha dimostrato chiaramente e drammaticamente il crollo del ponte Morandi a Genova».
Nemica della ripresa è anche la burocrazia. «Le risorse per riaprire i cantieri ci sono – commenta Scotti -, ma le procedure rallentano tutto. Sempre secondo l’Ance, oggi sono necessari una trentina di adempimenti burocratici per aprire un cantiere. Francamente sono troppi».
Al centro delle rivendicazioni ci sono anche i temi previdenziali e della sicurezza. «Quota 100 rappresenta un passo avanti per il comparto – conclude Scotti -, ma non è sufficiente. Bisogna tenere presente che il nostro non è un settore come tutti gli altri. Quasi sempre i lavoratori hanno buchi previdenziali legati alla discontinuità delle attività. Perché non si tiene conto di questa specificità? Anche sotto il profilo della sicurezza va fatto di più. Dopo l’agricoltura, l’edile è il settore più colpito dagli incidenti sul lavoro. Su questo in parte ha giocato anche la crisi e la tendenza di molti imprenditori a tagliare sui costi della prevenzione. Così non va, non si gioca sulla pelle dei lavoratori».
Nemica della ripresa è anche la burocrazia. «Le risorse per riaprire i cantieri ci sono – commenta Scotti -, ma le procedure rallentano tutto. Sempre secondo l’Ance, oggi sono necessari una trentina di adempimenti burocratici per aprire un cantiere. Francamente sono troppi».
Al centro delle rivendicazioni ci sono anche i temi previdenziali e della sicurezza. «Quota 100 rappresenta un passo avanti per il comparto – conclude Scotti -, ma non è sufficiente. Bisogna tenere presente che il nostro non è un settore come tutti gli altri. Quasi sempre i lavoratori hanno buchi previdenziali legati alla discontinuità delle attività. Perché non si tiene conto di questa specificità? Anche sotto il profilo della sicurezza va fatto di più. Dopo l’agricoltura, l’edile è il settore più colpito dagli incidenti sul lavoro. Su questo in parte ha giocato anche la crisi e la tendenza di molti imprenditori a tagliare sui costi della prevenzione. Così non va, non si gioca sulla pelle dei lavoratori».
È stata rinnovata la cassa integrazione straordinaria per i 415 lavoratori e lavoratrici del sito produttivo di Brugherio della Candy. L’intesa è stata sottoscritta questa mattina, 8 novembre, al ministero del Lavoro. L’ammortizzatore sociale coprirà il periodo fino al 30 settembre 2020.
«È un importante accordo perché si scongiurano 135 licenziamenti – affermano Pietro Occhiuto e Eliana Dell’acqua, rispettivamente della Fiom Cgil e della Fim Cisl della Brianza – non è stato un facile accordo e non era per nulla scontato vista la carenza dei fondi. La pressione del sindacato e la caparbietà dei lavoratori ha spinto il Governo a finanziare il fondo per gli amministratori sociali».
Un grosso contributo in tal senso è stato dato dallo sciopero nazionale proclamato la scorsa settimana dalla Fim, Fiom e Uilm e che anche in Candy ha avuto un’ottima adesione dei lavoratori. Con la sottoscrizione dell’intesa si archivia definitivamente l’eventualità di una riduzione dell’orario di lavoro che avrebbe comportato pesanti ripercussioni sul salario dei lavoratori.
«Oltre a evitare i licenziamenti – dicono i delegati sindacali della Rsu – con la sottoscrizione dell’accordo di cassa si sono tutelate le retribuzioni. Adesso ci aspettiamo un concreto piano di rilancio della nostra fabbrica. Abbiamo inoltre apprezzato la presenza del sindaco di Brugherio che è sempre stato accanto ai lavoratori sostenendone le rivendicazioni».
CARCANO, SCIOPERO
«Vogliamo essere ascoltati e chiediamo che l’azienda ci dia risposte chiare». È quanto chiedono i lavoratori della Carcano che, per sostenere le loro posizioni, oggi, 8 novembre, hanno scioperato mezz’ora in ogni turno nella sede di Mandello. È la seconda iniziativa dopo un primo sciopero avvenuto la scorsa settimana.
Una mobilitazione che, spiegano i rappresentanti sindacali, vuole essere un segnale lanciato alla direzione dell’azienda e a tutto il consiglio di amministrazione: «Non parliamo di una realtà produttiva problematica – chiariscono Maurizio Oreggia della Fiom Cgil e Emilio Castelli della Fim Cisl – È un’azienda che fino al 2018 ha registrato performance molto positive, è il primo anno che la Carcano vive un rallentamento dovuto però a situazioni di mercato, in particolare all’effetto dei dazi degli Stati Uniti nei confronti della Cina che hanno riversato l’alluminio prodotto dai cinesi sul mercato europeo e sul nostro territorio».
L’azienda sta facendo ricorso alla cassa integrazione per il sito produttivo di Delebio per 13 settimane di ammortizzatore fino a fine anno anche se si stimerebbe l’utilizzo di sole tre settimane effettive.
«La nostra preoccupazione – spiegano i sindacalisti – riguarda Mandello (200 dipendenti circa) in quanto da sempre nel gruppo Carcano è stato il sito più debole rispetto a quelli di Andalo e Delebio. E’ stato avviato un tavolo di confronto con l’azienda. Ci aspettiamo risposte riguardo alle strategie, gli investimenti con il coinvolgimento dell’intera rappresentanza sindacale e continuità riguardo alla contrattazione di secondo livello. L’azienda ha ancora investimenti da realizzare, vogliamo avere garanzie che ci sia la volontà di tenere alto lo sviluppo del sito di Mandello».
ILVA
«La crisi a seguito del ritiro di Arcelor Mittal dal perfezionamento dell’acquisto dell’Ilva rischia di travolgere l’industria metalmeccanica lombarda, già affaticata dal calo del mercato dell’auto e alla frenata della Germania. Colpire l’industria siderurgica ex Ilva equivale a danneggiare a cascata tutta la filiera, perché renderà complicato l’approvvigionamento di acciaio e costringerà le nostre imprese a rifornirsi dall’estero, con gravi contraccolpi in termini di posti di lavoro anche nel settore metalmeccanico lombardo. La vertenza è una battaglia anche dei metalmeccanici di questa Regione». Così Andrea Donegà, segretario generale Fim Cisl Lombardia.
«Siamo molto preoccupati – aggiunge -. Innanzitutto per le possibile ricadute sui lavoratori delle sedi Arcelor di Milano e hinterland, sui dipendenti della controllata Innse Cilindri di Brescia, ma non solo. Pensiamo per esempio ai vari distretti industriali: la meccanica strumentale di Bergamo e Brescia e la metalmeccanica di Lecco, con il rischio di spostare all’estero la catena dei fornitori, con ripercussioni sulla competitività e conseguente perdita di valore e posti di lavoro, impoverendo tutto il tessuto produttivo».
Le ricadute sul territorio preoccupano anche la Fim Cisl Mbl. «Siamo preoccupati per le possibili conseguenze che la situazione dell’Ilva può avere nel Lecchese – osserva Enrico Vacca, segretario generale Fim Cisl Mbl -. Da parte nostra monitoreremo la situazione per evitare ogni contraccolpo che possa incidere sul tessuto industriale locale e sull’occupazione».
Il dramma legato all’ex Ilva si potrebbe tradurre in un miliardo di Pil bruciato nel Nord del Paese, ovvero a tantissimi posti di lavoro che andrebbero in fumo. «Non possiamo mettere a rischio la nostra indipendenza industriale che aprirebbe le porte a una nuova crisi in una regione dove l’industria metalmeccanica mostra segnali preoccupanti – conclude Donegà -. Terremo monitorata la situazione e, se necessario, attiveremo forme di mobilitazione per contrastare chi ha in mente un paese che non prevede un ruolo centrale per il lavoro».
EDILI IN PIAZZA IL 15 NOVEMBRE
I lavoratori edili tornano in piazza per chiedere interventi urgenti per rilanciare il settore. Venerdì 15 novembre manifesteranno in 100 città. In Lombardia l’appuntamento è ad Annone Brianza, in provincia di Lecco. «Il nostro comparto – spiega Roberto Scotti, segretario generale Filca Cisl Monza Brianza Lecco – ha subito un durissimo colpo dalla crisi del 2008. Non si aprono cantieri e l’occupazione continua a calare».
Prima del 2008, contribuiva per l’11.5% alla creazione del prodotto interno lordo e oggi solo per l’8%. Gli occupati a livello nazionale sono circa 500mila. Prima del 2008 erano 600mila in più, mentre 120mila imprese hanno cessato l’attività.
La ricca Lombardia non si è salvata da questa moria di posti e aziende. Nel biennio 2007-2008 gli iscritti alla Cassa edile di Milano, Monza e Lodi erano oltre 70mila. Ora siamo a quota 43mila. Gli occupati brianzoli, nello stesso periodo, sono passati da 8.400 a 5mila. In provincia di Lecco da 6.300 a 3.200.
«Lo sciopero del 15 marzo – continua Scotti – aveva messo in evidenza la crisi del comparto. Le organizzazioni sindacali avevano cercato un sostegno del Governo. Con la crisi politica di questa estate, però, tutto si è fermato. Con Paola De Micheli, nuovo ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, abbiamo riavviato un dibattito. Siamo convinti che questa nuova astensione possa sostenere meglio le nostre rivendicazioni».
Ma che cosa chiede il sindacato? «Anzitutto più investimenti in opere pubbliche – osserva Scotti -. Le grandi opere possono infatti rappresentare un volano per tutto il comparto. Attualmente, secondo uno studio dell’Ance (associazione dei costruttori), sono 700 i cantieri fermi in Italia. Nella nostra zona rimangono incompiuti la Pedemontana, la Lecco-Bergamo e il prolungamento della Metropolitana a Monza. E poi aspettiamo che parta a pieno regime la Città della Salute a Sesto San Giovanni».
Anche la manutenzione delle opere esistenti può diventare un incentivo. «Le opere di controllo e manutenzione – spiega Scotti – non hanno solo una valenza economica, ma sono diventate essenziali per la sicurezza di tutti, come ha dimostrato chiaramente e drammaticamente il crollo del ponte Morandi a Genova».
Nemica della ripresa è anche la burocrazia. «Le risorse per riaprire i cantieri ci sono – commenta Scotti -, ma le procedure rallentano tutto. Sempre secondo l’Ance, oggi sono necessari una trentina di adempimenti burocratici per aprire un cantiere. Francamente sono troppi».
Al centro delle rivendicazioni ci sono anche i temi previdenziali e della sicurezza. «Quota 100 rappresenta un passo avanti per il comparto – conclude Scotti -, ma non è sufficiente. Bisogna tenere presente che il nostro non è un settore come tutti gli altri. Quasi sempre i lavoratori hanno buchi previdenziali legati alla discontinuità delle attività. Perché non si tiene conto di questa specificità? Anche sotto il profilo della sicurezza va fatto di più. Dopo l’agricoltura, l’edile è il settore più colpito dagli incidenti sul lavoro. Su questo in parte ha giocato anche la crisi e la tendenza di molti imprenditori a tagliare sui costi della prevenzione. Così non va, non si gioca sulla pelle dei lavoratori».
Nemica della ripresa è anche la burocrazia. «Le risorse per riaprire i cantieri ci sono – commenta Scotti -, ma le procedure rallentano tutto. Sempre secondo l’Ance, oggi sono necessari una trentina di adempimenti burocratici per aprire un cantiere. Francamente sono troppi».
Al centro delle rivendicazioni ci sono anche i temi previdenziali e della sicurezza. «Quota 100 rappresenta un passo avanti per il comparto – conclude Scotti -, ma non è sufficiente. Bisogna tenere presente che il nostro non è un settore come tutti gli altri. Quasi sempre i lavoratori hanno buchi previdenziali legati alla discontinuità delle attività. Perché non si tiene conto di questa specificità? Anche sotto il profilo della sicurezza va fatto di più. Dopo l’agricoltura, l’edile è il settore più colpito dagli incidenti sul lavoro. Su questo in parte ha giocato anche la crisi e la tendenza di molti imprenditori a tagliare sui costi della prevenzione. Così non va, non si gioca sulla pelle dei lavoratori».